Abstracts della rivista
La memoria pubblica dell’antifascismo di Gianpasquale Santomassimo pubblicato su Italia Contemporanea n. 225 , dicembre 2001
La memoria pubblica dell’antifascismo è contrastata e minoritaria nella società italiana fino al 1960. Sussistono e si confrontano tradizioni antifasciste spesso conflittuali e nutrite di analisi e propositi divaricanti. La svolta del luglio 1960 è il momento di inversione di questa tendenza. Solo a quasi vent’anni dalla conclusione degli eventi si cercherà di fare dell’antifascismo un valore largamente diffuso e condiviso, "paradigma" unificante del comune sentire della grande maggioranza degli italiani. Negli anni del centrosinistra la Resistenza viene intesa non solo come "evento fondatore" della Repubblica, ma anche punto di partenza per la crescita democratica e sociale del paese. Ma a partire da questa apparentemente stabile collocazione della Resistenza nel Pantheon repubblicano si producono anche fiumi di vuota retorica, che suscitano diffidenza nelle generazioni più giovani. Si introduce nelle celebrazioni ufficiali la formula, abbastanza illusoria e infondata, di un "popolo unito in lotta contro la tirannide". Il problema del fascismo nella storia italiana, eluso nel decennio precedente, viene ora risolto circoscrivendo nei minimi termini la sua portata. Si riproduce la tendenza all’autoassoluzione degli italiani, la rimozione del problema delle "responsabilità collettive" di fronte al fascismo. Nel corso degli anni settanta sembra chiudersi di fatto il lungo periodo in cui l’antifascismo aveva attraversato la storia repubblicana nella duplice veste di vinto e vincitore; ora l’antifascismo, alla vigilia della sua eclissi, è innegabilmente "ufficialità" e appare vincitore, se pure in lotta contro pericoli nuovi e inediti. È un periodo in cui esiste realmente, in forme impreviste, un "antifascismo di massa" che è profondamente diviso al suo interno. Il delitto Moro segna, visto retrospettivamente, l’esaurirsi della solidarietà democratica, e l’antifascismo paga il forte investimento effettuato su di essa dai contraenti di quella politica. Con la perdita di centralità dell’antifascismo l’Italia di fatto prenderà una strada diversa rispetto all’evoluzione della coscienza occidentale, che riscoprirà proprio a partire dagli anni ottanta, attraverso la consapevolezza della portata della Shoah, l’enormità del problema storico del fascismo europeo, del suo successo, del consenso ottenuto, della catastrofe innescata. Si apriranno, anche su questo terreno, i termini di una nuova "anomalia italiana", che conducono fino ai nostri giorni.