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Il partito fascista a Bologna. Dalle origini al regime di Fabrizio Venafro pubblicato su Italia Contemporanea n. 249 , dicembre 2007
Fin dalle origini il fascismo bolognese si distingue per la sua capacità di strutturarsi all'interno del tessuto cittadino attraverso una molteplicità di organizzazioni collaterali al Fascio di combattimento. Già nel 1920 nascono organismi che inquadrano i propri membri sulla base di specifiche quali età e sesso, come i gruppi di balilla e i gruppi femminili fascisti, mentre sono del 1921 i gruppi rionali, sorta di sezione del Fascio disseminate nei quartieri cittadini. Nello stesso tempo vengono creati organismi sindacali che colmano il vuoto di rappresentanza lasciato dalla distruzione delle organizzazioni socialiste operaie e contadine. E' proprio sul ruolo ricoperto dai sindacati nel movimento fascista che si consuma la frattura all'interno del fascismo bolognese. Arpinati, per la sua avversione all'impegno fascista nei sindacati, viene escluso dalle principali cariche del partito tra il 1921 e il 1922. In questo periodo la politica fascista, diretta dal federale Gino Baroncini, si identifica principalmente con le istanze sindacali e riporta in auge quel conflitto di classe per il cui superamento le classi padronali avevano finanziato cospicuamente le camicie nere. Ma, dopo una crisi che si protrae fino al 1925 e che genera una frattura verticale tra il fascismo urbano, stretto intorno a Arpinati, e quello rurale dei comuni della provincia, la linea arpinatiana ha la meglio. La politica di normalizzazione del fascismo provinciale ad opera di Arpinati chiude gli spazi di autonomia del partito, limitandone l'azione a compiti di propaganda e di integrazione sociologica delle masse. Tali compiti verranno svolti da strutture quali circoli rionali, Casa del fascio e organizzazioni giovanili e sportive, che saranno il fiore all'occhiello del fascismo bolognese.