Il Coordinamento lombardo risponde al prof. Mazzi sul Giorno della Memoria
Gentile Professore,
siamo il Coordinamento degli istituti storici lombardi della Resistenza e dell’Età contemporanea. Le rispondiamo perché ci siamo sentiti chiamati in causa dalla sua lettera “Non potrà essere un Giorno della Memoria come gli altri” pubblicata pochi giorni fa sul sito della sua scuola.
Il nostro lavoro quotidiano lega ricerca, divulgazione e didattica: la nostra sfida, da quando siamo stati fondati, nei lontani anni Cinquanta da un’idea di Ferruccio Parri, è l’inquietudine. Riuscire a trasmettere a chi con noi abita il nostro presente, le nostre città, e in particolare le nostre scuole, la storia come pungolo a interrogarsi, a confrontarsi con la complessità del passato e a prendersi cura del proprio immaginario perché il filo rosso dell’antifascismo continui a legarci come collettività.
Le nostre iniziative didattiche e di divulgazione intrecciano quasi quotidianamente l’ambito della memoria pubblica in cui interveniamo come storici e storiche e anche come cittadini e cittadine. Ogni volta cerchiamo, con onestà e rigore, di mettere a disposizione le competenze della storia per non ridurre la memoria a ripetizione di parole d’ordine, ma anche per imparare ad ascoltare il presente con lo sguardo lungo del passato.
Da questo nostro impegno quotidiano proviamo a rispondere alla sua lettera come stessimo pensando con lei, riflettendo insieme.
La storia, lo sappiamo, non dà lezioni di vita e nemmeno vogliamo nasconderci, oggi e di fronte a lei, dietro una lezione di storia. Veniamo a lei impegnati, anzi quasi travolti, dalle tante iniziative che ogni Giorno della Memoria finiamo per seguire con la convinzione che non sottrarci al confronto con le date del nostro calendario civile sia dare il nostro contributo affinché quei giorni scelti dalla politica siano vissuti dalle nuove generazioni, e dalla collettività più in generale, come scambio, relazione di curiosità e di attenzione, per rendere più ricco, complesso, vivace l’immaginario con cui affrontare le domande che il presente ci pone.
È certo che il presente ci fa sempre più paura. Viviamo una fase storica tragica, caratterizzata dal diffondersi insensato della guerra e dal moltiplicarsi, in forme sempre più intollerabili, delle violazioni dei diritti umani. La pace sembra sempre più essere un discorso da sognatori in un mondo in cui le Istituzioni internazionali – ONU e UE, in primo luogo – paiono non riuscire ad imporsi con autorevolezza come soggetti universalmente riconosciuti, in grado di governare le situazioni di conflitto attraverso i mezzi pacifici della diplomazia e del dialogo, nel rispetto del diritto internazionale, rifiutando la logica della violenza, indiscriminata e senza limiti, messa in atto sia da stati, sia da altri soggetti politici organizzati.
Proprio di fronte al mondo in cui viviamo, immersi nel panorama culturale di cui facciamo parte, sentiamo con forza la convinzione che la memoria è un’operazione delicata. Da una parte, è violenta perché ricordare qualcosa è sempre dimenticare qualcosa d’altro, semplificare l’esperienza creando simboli che danno identità e tranquillità e giustificano lo status quo. Dall’altra parte, è responsabilità perché è la scelta delle storie con cui raccontare di noi, uomini e donne, e dell’esperienza che viviamo, dei suoi vortici e dei suoi orizzonti. Per tutto questo, abbiamo sempre pensato, e ancora di più lo ribadiamo oggi, che il 27 gennaio non appartiene a nessuno, non a uno stato, non a una parte politica, nemmeno forse a una comunità, ma agli uomini e alle donne che intendono assumerla come una eredità che rende più problematico il rapporto con il presente, le sue vittorie e i suoi disastri.
Ci lasci solo fare un esempio di come lo studio della storia, nelle sue piste di ricerca più avanzate, possa suscitare riflessioni. Il 27 gennaio non è solo il giorno della memoria della Shoah, ma anche quello di tutti i deportati nei lager nazisti (oppositori politici, sinti e rom, omosessuali …), ma fissiamo un momento la nostra attenzione sulla persecuzione ebraica. Seguendo alcuni sviluppi di studio, quando incontriamo le scuole spesso ci capita di approfondire anche il tema e il punto di vista dei perpetratori e non solo quello delle vittime. Un’ottica di questo genere permette di collocarci, come italiani ed europei, in una posizione non più autoassolutoria e di portarci a riflettere sui meccanismi dell’obbedienza e del conformismo che permisero a migliaia di “uomini comuni” di diventare assassini di massa. Questo per noi vuol dire contribuire affinché il 27 gennaio non sia una mera commemorazione rituale, né solo un omaggio al popolo ebraico, ma possa diventare un contributo a una riflessione sui meccanismi che entrano in gioco quando una minoranza è perseguitata.
Anche quest’anno saremo impegnati su tanti fronti per il 27 gennaio, ci saremo con la stessa consapevolezza di ogni anno, con la stessa inquietudine e convinzione, per esercitare insieme una memoria che contribuisca alla costruzione di una condivisione civile fondata sul rispetto assoluto della dignità umana e sull’accettazione delle diversità.
Istituto nazionale Ferruccio Parri
Coordinamento degli istituti storici lombardi della Resistenza e dell’Età contemporanea
Istituto bergamasco per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea
Fondazione Biblioteca Archivio Micheletti
Istituto di storia contemporanea “Pier Amato Perretta”
Istituto lodigiano per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea
Istituto mantovano di storia contemporanea
Istituto lombardo di storia contemporanea
Fondazione Memoria della deportazione Archivio Biblioteca Pina e Aldo Ravelli
Istituto pavese per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea
Fondazione ISEC – Istituto per la storia dell’età contemporanea
Istituto sondriese per la Storia della Resistenza e dell’Età contemporanea
Grazie davvero per queste parole chiare, rispettose, sempre invito alla riflessione e alla condivisione.
Grazie per aver scritto parole preziose per noi e il nostro tempo, parole limpide e pacate in cui possiamo ritrovarci. Parole che possiamo abitare insieme.
Forse questo professore non fa il bene dei suoi alunni. E non cita una legge.