Prosegue con successo la campagna #RaccontiamolaResistenza
La campagna social #RaccontiamolaResistenza, avviata dall’Istituto Nazionale Ferruccio Parri e dagli altri 65 istituti della rete il 29 marzo su Facebook, Twitter e Instragram, prosegue a ritmo serrato verso il grande appuntamento del #25 aprile 2020. Sono già moltissimi i contributi video, audio e testi pubblicati sulla pagina fb, anche da singoli cittadini, gruppi e enti locali: una straordinaria mole di materiali che restituiscono il valore della lotta di liberazione e offrono nuove risorse sulla Resistenza, seguendo un serio approccio documentario.
Notevole il successo: in pochi giorni la pagina ha ottenuto oltre 4.000 followers e 20.000 contatti.
Molto importanti le partnership maturate: a sostegno della campagna si sono schierate tutte le associazioni di reduci e partigiani, le principali società storiche, la rete Paesaggi della Memoria. La campagna ha inoltre ottenuto la prestigiosa media partnership di Rai Storia e Rai Cultura; e l’interesse del Corriere della Sera.
Si muove in sinergia con le altre grandi campagne nazionali (Caritas-Cri, Anpi-Repubblica tv, Istituto Cervi), per un 25 aprile veramente festa di tutti e con tutti, come è nello spirito della giornata.
Ringraziamo i tanti testimonial che parteciperanno alla maratona fb del 25 aprile: Eraldo Affinati, Silvia Avallone, Roberta Biagiarelli, Claudio Bisio, Vinicio Capossela, Daria Colombo, Maddalena Crippa, Laura Curino, Ferruccio De Bortoli, Maurizio De Giovanni, Paolo Di Paolo, Giorgio Diritti, Gad Lerner, Carlo Lucarelli, Maurizio Maggiani, Valerio Massimo Manfredi, Marta Marangoni, Modena City Ramblers, Rossana Mola, Michela Murgia, Murubutu, Paolo Nori, Patrizio Roversi, Renato Sarti, Igiaba Scego, Arianna Scommegna, Antonio Scurati, Mario Tozzi, Roberto Vecchioni, Julio Velasco, Debora Villa, Pamela Villoresi, Yo Yo Mundi, Massimo Zamboni…e molti altri (l’elenco completo è disponibile sulla pagina fb).
Incontriamoci ogni giorno sulla pagina fb @RaccontiamolaResistenza ! E ricordate che il 18 aprile sarà dedicato agli scioperi preinsurrezionali del 1945, e che il 25 alle 9 inizierà la nostra maratona-staffetta tra gli istituti, da Catania a Trieste, per raccontare la liberazione di tutto il paese.
Restiamo a casa ma festeggiamo comunque insieme il 25 Aprile!
Roasio marzo 1984
Testimonianza di Gianotti Pietro, Partigiano “GRINTA”
Ultimo scritto prima di lasciarci, il 3/5/1984.
Era il 13 agosto 1943, alle ore 13.00, un telaio da forno Veis Militare mi cade sul fianco destro asportandomi la pelle del ventre e le budella fuori. Era un preavviso doloroso e mortale. Infatti, dopo otto giorni, ricevetti un telegramma da casa “mamma gravemente ammalata urge presenza figlio”. Il Capitano, un torinese buon uomo, mi chiamò in fureria per farmi sapere la verità e per darmi la licenza. Come mi lesse il telegramma caddi in un pianto dirotto, sapevo benissimo il soffrire della malattia di mia mamma che durava già da otto anni, quasi come inferma. Mi diede 15+10 di licenza e, se era morta, il maresciallo dei carabinieri mi avrebbe prolungato la licenza per altri giorni. Era morta il 13 agosto 1943 alle ore 13.00.
L’euforia nel raccontare non mi ha dato il tempo di dire che mi trovavo nel Montenegro in Jugoslavia con la 60 esima Squadra Panettieri della Divisione Alpina Taurinense posta Militare 200. Partii da Caserta il 25 luglio 1943, per i Balcani in treno, dopo Lubiana, fummo attaccati dai Partigiani di Tito. La Tradotta era composta di due locomotori e altri vagoni militari. C’erano 30 vagoni merci pieni di derrate alimentari, i quali i Partigiani riuscirono a sganciarli. Arrivammo a Belgrado al Comando tappa, di qui con colonne o trenini, ci portarono a Pribas- Plievie – Missic, dove c’era il Comando di Divisione e Magazzini di provviste. Mi allungo per dirvi che con me c’erano Allafranchino di Lozzolo e Simone mio paesano, uno era al Magazzino Viveri l’altro macellaio, io panettiere. Così non ci mancavano i viveri e potemmo aiutare molti Alpini amici e paesani che avevano fame. Anzi a dire la verità, aiutavamo anche una Partigiana di Tito che tutte le mattine si prendeva un sacco di pane purchè ci lasciassero lavorare e produrre senza essere attaccati. Noi Alpini realmente ci lasciavano tranquilli, ma i Fascisti che presidiavano la città di giorno e di notte, lasciavano morti e feriti.
Dal giorno del telegramma passarono ben otto giorni per trovare un passaggio o la possibilità di arrivare a casa. Io e tre Alpini di Masserano e biellese, in licenza per motivi gravi, siamo partiti a piedi per Titograd e trovammo l’unico mezzo di trasporto uno Stucas Tedesco con i vetri rotti che andava a Belgrado. Ci caricarono con disprezzo come già sapessero che gli italiani volevano l’armistizio. Volando con questo rottame tra vuoti d’aria e picchiate arrivammo a Belgrado più morti che vivi, ci presero a pedate e ci buttarono a terra. Il 31 agosto arrivammo a Postumia in Italia in contumacia per il lavaggio e la disinfezione degli indumenti, così arrivai a casa il 2 settembre, non trovando più la mamma sepolta il 13 agosto.
I carabinieri mi allungarono la licenza, arrivò l’8 settembre e dopo pochi giorni con gli ordini di Badoglio e del governo italiano, i tedeschi occuparono tutta l’Italia ed emanarono la mobilitazione delle classi 1922-1923-1924 tra le quali c’ero anch’io. Così prendiamo la via della montagna per sottrarsi al reclutamento. Eravamo una quindicina di uomini, l’unico armato ero io, ma dopo pochi giorni, i tedeschi s’accorsero di aver sbagliato strada, tolsero la mobilitazione e liberano Mussolini il fascismo alza la testa e fa un governo “Repubblica Sociale Italiana”ingannando per la seconda volta il popolo, e credendo che lo seguisse. Con le nuove leggi ha formato un nuovo esercito e ha richiamato di nuovo molte classi e chi non si presentava venivano fatte rappresaglie alle famiglie.
Mi presentai al Distretto di Vercelli e mi mandarono a Casale nell’aviazione, scrissi qualche lettera a casa a dopo due giorni io e due miei compagni di Castelletto Roasio fuggimmo dal reparto per andare con i Partigiani. I miei compagni erano di leva, mentre io ero ormai un disertore ed ero già braccato dai Carabinieri. Non andai a casa passai dal negozio di Tosone mi feci dare tutto il pane e i salumi che aveva e mi diressi verso un rifugio di Castelletto aspettando i compagni di fuga per andare in montagna. Passati 8 giorni, loro si nascosero ed io non avevo più niente da mangiare, non potendo andare a casa mi rifugiai a Buronzo in una cascina di Maria mia cugina. Era il periodo del mondare il riso e in mezzo alla squadra di ferraresi ci stavo anch’io. Ma i rastrellamenti dei disertori continuava e con l’ingiunzione di presentarsi entro il 10 maggio oppure come eravamo presi ci passavano per le armi. Per non dare fastidi, ho lasciato la cascina dei miei cugini.
Me ne andai a zonzo per le colline cercando di trovare qualche Partigiano per aggregarmi. A Sostegno trovai 6 giovanotti con una pistola, un mitragliatore e due moschetti, a me diedero un fucile da caccia a pallettoni che reperirono sul posto e si costituì un Plotone della Brigata 10° Rocco. Andammo per le montagne e arrivammo ad Agnona, una frazione di Borgosesia, per portarsi in zona Celio dove c’era il Comando. Sorpassammo il ponte sul Sesia e ci portammo lungo la Strada Borgosesia Quarona. Dalla postazione i fascisti ci videro e si prepararono con un camion e circa una ventina di uomini, ma a sua volta, anche noi abbiamo intuito e li aspettavamo appostati al Ponte della Pietà. Il mitragliatore Fiat su una sporgenza e noi 5 a fianco della strada, dovevamo lasciarli passare prima di sparare. A duecento metri prima rallentarono il cammino poi a passo d’uomo venivano avanti. L’imboscata si rilevò perfetta al punto che il mitragliatore fece una strage, i fascisti a fianco del camion caddero e tutti quelli sul camion erano o morti o feriti. Il camion continuò la strada e non potemmo recuperare tutte le armi, ma due mitra, tre fucili e due pistole furono recuperati dai militi caduti o feriti. Dovemmo sgomberare subito perché il presidio di Borgosesia era a un chilometro e quello di Quarona a tre chilometri. Infatti, dopo dieci minuti, arrivarono e con camion mortai e mitraglieri da venti spararono per due ore a casaccio sulle colline di Breia, Celio e la madonna della Bocchetta, ma, ormai noi eravamo fuori tiro. Ci accampammo sul fianco destro del Monte Briasco e ci raggruppammo tutti formando i primi Nuclei di tre Brigate
“la Curiel, la Prizzio Greta e la Rocco”.
Non ci mancava lo spirito, la volontà, l’orgoglio di appartenere alle Brigate Garibaldi, ma ci mancavano viveri, munizioni e baite per riposarsi; erano quasi tutte bruciate, il povero montanaro oltre che aiutare, dare ai partigiani tutto quello che aveva, restava anche Lui in balia dei rastrellamenti e degli attacchi fascisti. Passò qualche giorno poi il comando decise di fare un attacco simultaneo alla postazione di Montrigone di Borgosesia e del presidio di Crosa ( Varallo ).
L’attacco del Montrigone non è riuscito, anzi seppi poi che una squadra di fascisti con divise partigiane hanno teso un’imboscata al nostro comando uccidendo il nostro Comandante Nello e ferendo gravemente un altro Partigiano che morì dissanguato dopo qualche ora. Invece nella seconda azione alla Crosa, il Comandante di plotone Nino, con una dozzina di Partigiani, tra i quali c’ero anch’io, con una S.Etienne da 7,5 tripiede, fece tutto Lui, Portinaio Giovanni (Nino), si tolse le scarpe, perché i fascisti avevano messo degli allarmi a trabocchetto, poi entrò nella postazione eliminò le guardie. Gli altri che dormivano furono presi di sorpresa, si caricò la Breda con due cassette di munizioni più tutte le armi della postazione.
Eravamo circa cinquecento diretti dal Presidio di Varallo e bisognava fare presto, infatti, dopo dieci minuti, una valanga di colpi tirati a casaccio, per due ore, ma noi ormai eravamo oltre la bocchetta di Arola con le armi per armare un altro plotone. La pesante mitraglia Breda me l’hanno data in consegna ed io dovevo farla cantare. Riunione della Brigata per organizzare e dare consigli ai ragazzi, ci hanno dato una tessera della Brigata con il nome di battaglia ed il battaglione di appartenenza Gli altri documenti, carta d’identità e tutto quello che poteva individuare la nostra famiglia venivano bruciati per non essere conosciuti dai Fascisti i quali in caso fossimo presi prigionieri, mettevano in prigione i genitori e bruciavano la casa. Così mi chiamarono Grinta e anche tutti gli altri avevano un nome di battaglia che ora non saprei indicare o nominare, dico “ i miei Compagni”.
Era il mese di agosto 1944, il giorno non mi ricordo, una staffetta dal Comando di Valduggia segnala al nostro Comando che una compagnia della Muti era accampata a non più di cinquecento metri in linea d’aria da noi in una cascina sul versante sud della bocchetta che bisognava pedinarla controllarla e circondarla. “Grinta prendi sei uomini e portati subito all’imbocco con la breda e le munizioni e segui se fanno degli spostamenti”. Era notte, le cinque di mattina, non tanto pratico della zona, mi appostai proprio all’imbocco a circa centocinquanta metri da loro, potevo dominare tutto il davanti della baita-cascina ma, non mi accorsi che dietro la baita c’era una mulattiera, un passaggio per sganciarsi e metterci in difficoltà, così che all’alba si accorsero di noi, i rinforzi non erano ancora arrivati e si sganciarono anzi, se volevano, potevano ucciderci tutti. Che beffa, passarono pochi giorni, arriva ordine per spostarsi in Valle Strona onde ostacolare i Tedeschi e Fascisti alla riconquista della zona libera di Domodossola e per ritardare al massimo la conquista fascista.
La Brigata cambiò nome da 10° Rocco a 6° Nello, il nome glorioso del nostro Comandante morto nell’imboscata tesa dai Fascisti.
Dopo questa testimonianza, papà Pietro ha dovuto combattere con un tumore ai polmoni e non è più riuscito a continuare il suo racconto scritto. Posso solo confermare che molte volte , ancora quando noi figli eravamo piccoli, ci raccontava orgogliosamente di aver fatto la scelta giusta di schierarsi con i Partigiani per liberarci dalla dittatura fascista e dall’invasione nazista, di aver contribuito con onore alla liberazione dell’Ossola e di aver partecipato sia all’entrata vittoriosa di Novara , sia all’entrata gloriosa in Milano per il giorno della Liberazione 25 aprile 1945.