Abstracts della rivista
L’Università di Firenze e la persecuzione razziale di Gabriele Turi pubblicato su Italia Contemporanea n. 219 , giugno 2000
Le leggi razziali emanate in Italia nel 1938 colpirono in primo luogo il mondo della scuola e dell’università. Le circolari del ministro dell’Educazione nazionale Bottai vietarono l’iscrizione degli studenti ebrei stranieri e allontanarono tutti i docenti ebrei. L’analisi del caso dell’Università di Firenze vuol mettere in luce non soltanto il meccanismo e le dimensioni dell’epurazione, accompagnata dal colpevole silenzio degli intellettuali, ma anche il suo retroterra politico e culturale. Le università italiane non furono, come molti studiosi hanno affermato, impermeabili al regime: il giuramento di fedeltà imposto ai docenti nel 1931, l’ispirazione fascista di molti corsi e l’introduzione di insegnamenti antropologici e demografici improntati a un’ottica razziale, facilitarono l’adeguamento alle leggi del 1938. Lidio Cipriani, uno dei firmatari del Manifesto della razza, insegnava all’Università di Firenze, dove altri docenti guidavano la Società italiana di antropologia e etnologia che sostenne la campagna razziale. Il mutamento degli indirizzi culturali conseguente alla sostituzione dei docenti epurati avrà effetti duraturi: molti furono infatti, dopo la caduta del fascismo, gli ostacoli burocratici al reinserimento dei docenti ebrei che erano stati allontanati. È una vicenda a lungo rimossa dalla memoria di tutti i protagonisti: solo nel 1999 l’Università di Firenze ha ricordato, con una lapide affissa al Rettorato, docenti e studenti cacciati nel 1938.