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Chiesa e questione coloniale. Guerra e missione nell'impresa d'Etiopia di Lucia Ceci pubblicato su Italia Contemporanea n. 233 , dicembre 2003

Il saggio ricostruisce le posizioni assunte nel corso del conflitto italo abissino dai missionari italiani presenti in Etiopia, attraverso un’ampia esplorazione archivistica. Al momento della preparazione della guerra gli unici religiosi italiani in Etiopia erano i padri dell’Istituto della Consolata di Torino, che sino a quel momento erano riusciti a istaurare e mantenere rapporti di collaborazione con il governo etiopico. L’operazione italiana in Abissinia, intesa come propaganda e come azione politica e militare, indusse nell’atteggiamento dei missionari un cambiamento radicale, che si manifestò principalmente nella loro tendenza ad assecondare le richieste provenienti dal governo italiano. Quest’ultimo rispetto alla missione della Consolata si mosse lungo due direttrici: cercò di coinvolgere i religiosi in piani strategici miranti a creare il casus belli; si servì della conoscenza che i missionari avevano degli idiomi, delle popolazioni e del territorio abissini. Con lo scoppio delle ostilità i missionari italiani furono costretti dal governo etiopico a lasciare il paese. Alcuni di loro si arruolarono come cappellani militari, avendo in taluni casi un ruolo rilevante in operazioni belliche. Da parte della rivista della Consolata iniziò una trascrizione della guerra in termini missionari, in linea con numerose prese di posizione di parte cattolica. Negli anni dell’Impero il governo fascista ridimensionò il ruolo dei missionari italiani, che furono poi definitivamente travolti dalla seconda guerra mondiale, con l’arrivo degli inglesi in Africa Orientale.


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