Abstracts della rivista
Abstract del numero 237, dicembre 2004
(Visualizza tutti gli articoli del numero)- Mimmo Franzinelli
Ultime lettere. Scritti di fucilati e deportati della Resistenza
pubblicato sul numero 237 di Italia contemporanea, dicembre 2004
Abstract:
Successivamente al pionieristico lavoro di Piero Malvezzi e di Giovanni Pirelli sulle lettere dei condannati a morte della Resistenza, pubblicato in prima edizione nel 1952 da Einaudi, il reperimento e lo studio degli epistolari dei fucilati partigiani hanno segnato persistenti ritardi, quasi che quell’antologia compendiasse il materiale esistente e la "sacralità" di una documentazione così particolare sconsigliasse l’analisi storiografica. Le Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza, curate da Mimmo Franzinelli per Mondadori in occasione del sessantennale della liberazione, rilanciano la ricerca, secondo una ripartizione in quattro categorie: i fucilati, i deportati politici, i deportati razziali e gli autori di testamenti spirituali. "Italia contemporanea" anticipa la parte iniziale del saggio introduttivo al libro, corredata con il materiale su dieci antifascisti (quattro dei quali non inclusi nel volume): i profili biografici, la trascrizione delle lettere e la documentazione fotografica. I personaggi dei quali si riproducono qui gli ultimi scritti sono Alessandro Bianconcini, "rivoluzionario professionale" già volontario con le Brigate internazionali nella guerra civile spagnola; il partigiano genovese Dino Bertetta; il democristiano alessandrino Giuseppe Bocchiotti; il giovane lombardo Evandro Crippa; il gappista veneziano Ernesto D’Andrea; il cospiratore romano Gerardo De Angelis trucidato alle Fosse Ardeatine; il cattolico bresciano Vittorio Grasso Caprioli fucilato perché aveva disertato dalla "Monterosa" per unirsi ai partigiani liguri; il comandante partigiano del Friuli orientale Mario Modotti; il socialista bolognese Gino Onofri; l’ufficiale italo-ellenico Emanuele Tiliacos che - riparato in Svizzera dopo i combattimenti seguiti all’armistizio - rimpatriò con alcuni compagni per combattere i nazifascisti.
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- Santo Peli Dimensioni militari e politiche della Resistenza pubblicato sul numero 237 di Italia contemporanea, dicembre 2004 Abstract: La guerra partigiana è una guerra politica. Ciò implica che, accanto all’obiettivo della liberazione del territorio nazionale, è altrettanto decisivo il come vi si arriva. Una razionalità puramente militare è estranea all’orizzonte della Resistenza organizzata, ed è indispensabile riflettere sul condizionamento notevole, sia sul piano degli avvenimenti che sul piano della loro interpretazione, esercitato dalla compresenza ineliminabile di aspetti militari e di aspetti politici. L’analisi dei modi in cui si realizzano l’afflusso di massa nelle formazioni partigiane nella primavera-estate del 1944 e la creazione di zone libere e repubbliche partigiane permette di esemplificare questi intrecci, mettendo in evidenza le contraddizioni tra le scelte di efficienza e di sicurezza immediate e la strategia che privilegia il numero, la visibilità, in vista del più largo coinvolgimento possibile. L’evidente subalternità degli aspetti militari agli obiettivi politici della Resistenza contribuisce anche a innalzare i costi della guerra partigiana, prima in termini di vite umane, di partigiani uccisi e di civili vittime della repressione terroristica, e poi in termini di distorsioni e di censure storiografiche. Ma senza i partiti politici, senza il progetto di riscattare la nazione con una drastica rottura del sistema politico, la Resistenza di cui stiamo discutendo non sarebbe esistita. Dopo vent’anni di dittatura e otto anni di guerre imperiali, solamente una costante opera di alfabetizzazione politica, di inquadramento, di comando, e la capacità di imporre forzature e violente torsioni all’esistente, permettevano di progettare un reale cambiamento dello Stato e della società italiana. Il successo solo parziale di questo progetto va analizzato a partire dalle enormi difficoltà del contesto nel quale prende vita; la pura deprecazione della "politicizzazione" della guerra di liberazione è invece strumentale a un’operazione di semplificazione antistorica.
- Fabio Gentile Fra vissuto e scelta politica. I fascisti napoletani da Salò al Movimento sociale italiano 1943-1948 pubblicato sul numero 237 di Italia contemporanea, dicembre 2004 Abstract: Dopo la caduta del regime fascista il 25 luglio 1943, il fascismo napoletano conobbe una nuova fase ideologica e politica grazie all’adesione di un migliaio di militanti alla Repubblica di Salò e alla nascita di una rete neofascista clandestina nel Mezzogiorno liberato dagli anglo-americani tra il 1943 e il 1944. Sulla base di una documentazione inedita proveniente per lo più dall’Archivio dei combattenti della Repubblica sociale italiana - Federazione napoletana, il saggio mette in rilievo un quadro sorprendente sia per le dimensioni complessive del consenso del fascismo napoletano alla Rsi sia per l’eterogeneità della sua composizione sociale. Accanto alla generazione degli squadristi del 1922, capaci di assicurare il funzionamento amministrativo del nuovo Stato, fu altrettanto importante il ruolo svolto dai giornalisti e dagli intellettuali che si ostinarono a credere nell’ultima avventura del fascismo nonché dalla folta schiera di giovani trentenni e ventenni arruolatisi nelle forze armate della Rsi nell’illusione di riscattare i valori fascisti di patria e nazione dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Nel secondo dopoguerra, la reintegrazione dei fascisti napoletani variamente impegnati a Salò nella vicenda più complessiva del fascismo meridionale ha costituito un passaggio cruciale nel difficile percorso di inserimento della destra nel tessuto democratico dell’Italia repubblicana, a partire dal referendum istituzionale del 1946 che vide la monarchia trionfare a Napoli con l’80 per cento, passando poi al I Congresso del Msi (1948) e alla nascita della Cisnal nel 1950. Tappe, queste, in cui si poggiarono le basi ideologiche del largo consenso di ampi strati della società napoletana - soprattutto la piccola e media borghesia, base di massa del regime fascista - alla destra guidata dall’armatore Achille Lauro, sindaco-padrone di Napoli per un decennio (1952-1961).
- Michela Ponzani I processi ai partigiani nell’Italia repubblicana. L’attività di Solidarietà democratica 1945-1959 pubblicato sul numero 237 di Italia contemporanea, dicembre 2004 Abstract: Il saggio vuole proporre nuove ipotesi interpretative relative al fenomeno della persecuzione giudiziaria antipartigiana d’età repubblicana. Si tratta della sintesi di un più ampio lavoro di ricerca in corso riguardante l’eredità della Resistenza nell’Italia repubblicana e i processi, mentali e culturali, di costruzione della Repubblica. L’offensiva giudiziaria che, dall’estate del 1945 fino ai primi anni sessanta, portò alla condanna di migliaia di ex partigiani e di intere bande per fatti connessi alla guerra di liberazione, fu il principale elemento di contestazione della legittimità della Resistenza, incompatibile con il paradigma dell’unità celebrativa della lotta partigiana, fondato sullo schema narrativo agiografico del "secondo Risorgimento" e pienamente realizzato con la concessione di benefici e onorificenze agli ex combattenti della liberazione. Di questi processi si vuole qui offrire una rilettura critica attraverso il ricorso alle carte del Comitato nazionale di solidarietà democratica, fonte finora inedita, e lo studio delle sentenze di condanna e delle strategie di accusa, elaborate dalla magistratura italiana. Le carte di Umberto Terracini, promotore dei Comitati di difesa pro partigiani, dimostrano come la repressione giudiziaria trovasse una sua spiegazione non solo nella mancata epurazione degli organi giudicanti, ma soprattutto negli orientamenti ideologici e nelle politiche anticomuniste delle classi dirigenti di allora. Tali politiche, attive soprattutto negli anni del centrismo degasperiano, unite alla propaganda moderata dei partiti dell’area di governo, misero in discussione il valore e il peso morale della Resistenza, animando un’accesa polemica politica sulla liceità giuridica degli atti di guerra partigiana.
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