Abstracts della rivista
Abstract del numero 238, marzo 2005
(Visualizza tutti gli articoli del numero)- Diego Giacchetti
"Me ciami Brambilla e fu l'uperari". Culture e atteggiamenti dei giovani operai negli anni delle rivolte
pubblicato sul numero 238 di Italia contemporanea, marzo 2005
Abstract:
Contrariamente a una tradizione consolidata e più conosciuta tra chi si occupa di storia dei movimenti e del Sessantotto in particolare — quella che lo paragona con la rivoluzione dei popoli europei del 1848 —, nel saggio il parallelismo è posto tra i due bienni rossi della storia italiana del Novecento, intendendo per essi gli anni 1919-1920 e 1968-1969. Nell’esaminare i due eventi si fa ricorso alla categoria di generazione e si prova a interpretare le vicende e i conflitti dei due bienni rossi anche come scontro tra generazioni, un contrasto che a volte spacca e divide le classi sociali, i sindacati, i movimenti e i partiti politici. Assai diversi sono i contesti storici messi a confronto, così come lo sono quelli economici, sociali e culturali del nostro paese all’inizio del Novecento e, successivamente, negli anni sessanta, dopo la fine della seconda guerra mondiale, la ricostruzione, il boom economico, il passaggio da un’economia prevalentemente agricola a una industriale. Immediatamente diversi furono anche gli esiti politici seguiti ai due bienni presi in esame: nel primo caso si affermò, dopo quello "rosso", il biennio "nero" che portò in poco tempo Benito Mussolini alla Presidenza del Consiglio; nel secondo caso, invece, si assistette a un allargamento e a un rafforzamento delle forze politiche e sindacali della sinistra vecchia e nuova in un quadro di trasformazione complessiva della società italiana che riguardava usi, costumi, mentalità e abitudini più che il quadro politico istituzionale.
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- Fabrizio Loreto Il sindacalismo confederale nei due bienni rossi pubblicato sul numero 238 di Italia contemporanea, marzo 2005 Abstract: Il saggio analizza il ruolo svolto dalle confederazioni sindacali durante i "due bienni rossi" del Novecento italiano (1919-1920 e 1968-1969). Nella premessa vengono affrontate alcune questioni preliminari: i limiti e le potenzialità della comparazione tra due fasi molto diverse della storia nazionale; la parzialità del punto di vista confederale, che coglie solo in parte la complessità del soggetto "sindacato"; i problemi interpretativi posti dalla storiografia più recente. Utilizzando una periodizzazione simile per i due bienni, lo studio ripercorre le vicende sindacali del primo dopoguerra e della fine degli anni sessanta concentrando l’analisi sui due temi che, secondo l’autore, evidenziano le profonde differenze tra due modelli di sindacato: il rapporto con le forze politiche e il potere sindacale nei luoghi di lavoro. Da questo punto di vista, il "primo biennio rosso" mostra un sindacato debole, costretto ad accettare in modo pragmatico un movimento ampio e articolato di lotte bracciantili e operaie, che vede con crescente diffidenza e ostilità il ruolo e la natura dei Consigli di fabbrica, che subisce la dura intransigenza padronale soprattutto sul versante decisivo dell’organizzazione del lavoro. Una delle ragioni primarie di tale debolezza risiede nella rinuncia ad assumere un ruolo politico non solo nei confronti della controparte datoriale, ma anche verso partiti e istituzioni dello Stato liberale; permane, anzi si accentua, quella "naturale" divisione dei compiti con il partito che limita in modo pesante l’efficacia dell’azione sindacale. Questa situazione si ribalta proprio nel "secondo biennio rosso" quando il sindacato, raggiunta per la prima volta nella sua storia una condizione di reale unità, riesce a fare propri molti dei temi sollevati dalla contestazione giovanile e acquisisce un potere senza precedenti sia nelle fabbriche che nella società. Il sindacato si trasforma in un nuovo soggetto politico maturo, dotato di un programma generale di trasformazione della società italiana non semplicemente redistributivo, ma centrato sull’estensione e sullo sviluppo dei diritti di cittadinanza.
- Francesca Fauri La politica doganale italiana. Effetti sull’economia e sulle relazioni commerciali internazionali (1861-1913) pubblicato sul numero 238 di Italia contemporanea, marzo 2005 Abstract: Il libero scambio venne introdotto in Italia nel 1861 con l’estensione della tariffa piemontese al resto d’Italia, ma quando la depressione internazionale e il ribasso dei prezzi agricoli sul mercato mondiale colpirono le rendite dei proprietari fondiari, questi chiesero con insistenza un aumento dei dazi, e a loro si unirono le richieste degli industriali. Il risultato fu una tariffa poco razionale da un punto di vista economico, di cui ancor oggi è controverso il ruolo quale incentivo allo sviluppo. Per quanto riguarda l’industria, essa ebbe certamente degli effetti pregnanti a livello di sviluppo settoriale, come nel caso dello zucchero e della siderurgia, industrie alle quali assicurò un’elevata protezione nominale ed effettiva. Contrariamente però alle teorie listiane, crebbero anche settori che non godevano di una protezione elevata, ma erano all’avanguardia dal punto di vista tecnico e organizzativo, come l’industria meccanica, chimica e della gomma. Pertanto anche le infant industry, se erano competitive a livello internazionale, non ebbero bisogno di protezione per emergere. Per quanto riguarda invece l’agricoltura, se il dazio sul grano pesò indubbiamente sui consumatori più poveri e ritardò la diversificazione produttiva, ebbe il merito di dilazionare nel tempo il "grande crollo" dell’agricoltura che tanto si temeva e di diminuire, almeno nel breve periodo, la dipendenza dalle importazioni a tutto vantaggio della bilancia commerciale. Poco lungimirante si dimostrò, infine, il rifiuto del governo italiano di negoziare aliquote più ridotte con la Francia, innescando così una guerra commerciale che avrebbe causato il crollo delle esportazioni di seta e vino e un danno ingente all’agricoltura meridionale. La politica doganale italiana degli anni ottanta dell’Ottocento ebbe quindi conseguenze rilevanti sia sulla direzione che sul volume dei traffici italiani.
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