Abstracts della rivista
Abstract del numero 245, dicembre 2006
(Visualizza tutti gli articoli del numero)- Maria Ferretti
La memoria spezzata. La Russia e la guerra
pubblicato sul numero 245 di Italia contemporanea, dicembre 2006
Abstract:
Scopo del saggio è ricostruire le vicissitudini della memoria della seconda guerra mondiale in Unione Sovietica, prima, e in Russia, poi, dalla fine del conflitto a oggi, con l’intento di fornire al lettore occidentale uno strumento per capire diversi usi pubblici a cui il ricordo del conflitto, estremamente vivo nella società, si presta. Si vogliono mostrare, in particolare, le ragioni per cui la memoria della guerra ha avuto e ha tuttora, nelle terre russe, una funzione del tutto diversa, nella trasmissione dei valori e nella costruzione delle identità collettive, da quella che ha avuto nei paesi dell’Europa occidentale. Il punto di partenza è la specificità della memoria russa della guerra, una memoria duplice, ambigua, perché ambivalente era stata, per l’Urss, la vittoria stessa: liberazione del paese e dell’Europa dal giogo nazista in nome dei valori di libertà dell’antifascismo, la vittoria aveva al tempo stesso portato al consolidamento e all’inasprimento della dittatura staliniana in nome della risorta grande potenza della Russia. Dal ricordo della guerra scaturivano quindi due memorie opposte, antitetiche, che veicolavano due sistemi di valori inconciliabili, fondati l’uno sulla libertà e l’altro sull’esaltazione della potenza nazionale: la memoria della guerra vissuta, col suo spirito di libertà che alimentava le speranze di una democratizzazione, e la memoria della vittoria, che celebrava invece lo Stato autoritario. Nel conflitto fra le due memorie, la prima ha finito sempre per soccombere, mentre la seconda ha alimentato, i dagli anni brežneviani, il nascente nazionalismo, che è diventato, dopo il naufragio dell’Urss e il disincanto nei confronti dell’Occidente, l’ossatura della nuova ideologia di Stato della Russia postcomunista.
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- Agostino Giovagnoli L'Africa nella "geopolitica" di Pio XI pubblicato sul numero 245 di Italia contemporanea, dicembre 2006 Abstract: Anche se buona parte della documentazione conservata nell’Archivio Segreto Vaticano (ASV) di fatto non è ancora consultabile, è possibile indicare alcuni tratti della “geopolitica” di Pio XI riguardo all’Africa, come gli indirizzi universalistici e romani già segnalati da Giuseppe Battelli. Come ha sottolineato Giovanni XXIII, uno degli interpreti più acuti del pontificato di Achille Ratti, proprio nei primi anni venti ha avuto inizio un’intensa ripresa dell’impegno missionario cattolico nel mondo, stimolato anche dalla percezione — seppure iniziale — di un declino della fede in terre di “antica cristianità”, e cioè in Europa. In questo contesto, Pio XI ha guardato all’Africa, sulla base della prospettiva postcoloniale già adottata in Cina da Benedetto XV e di un approccio scientifico “africanista”, abbandonando gradualmente il tradizionale senso della superiorità europea. Si colloca in tale contesto l’atteggiamento critico assunto da questo papa nei confronti della guerra fascista in Etiopia, sebbene l’espressione pubblica del suo dissenso sia rimasta piuttosto circoscritta. Ciò non impedì, però, che ne giungesse notizia anche negli Stati Uniti, suscitando le proteste della comunità italo-americana, come mostrano alcuni documenti inediti. Pio XI fu invece molto esplicito nella condanna della politica razziale del fascismo, come documentano ampiamente le carte conservate presso l’ASV. A differenza di quanto avvenne nei confronti dell’antisemitismo, infatti, la Santa Sede assunse contro il razzismo una posizione intransigente, sia per difendere le prerogative acquisite con il Concordato, sia per ribadire che l’universalità del cattolicesimo implica il riconoscimento della pari dignità degli esseri umani indipendentemente dalla loro “razza”.
- Marina Tesoro L'intervento democratico e la tradizione repubblicana pubblicato sul numero 245 di Italia contemporanea, dicembre 2006 Abstract: Nella storiografia italiana del secondo dopoguerra, l’interventismo democratico, che trovò la sua fonte ispiratrice in Giuseppe Mazzini, non ha in genere goduto di buona fama. Ingenui, utopisti, aggiogati, più o meno in buona fede, al carro dei nazionalisti, in alcune recenti letture gli interventisti democratici sono stati imputati di avere per primi legittimato sul piano morale la formula della “guerra giusta”, tornata recentemente di attualità, oppure di avere consentito quell’incontro tra violenza e politica che sarà destinato a generare conseguenze fatali negli anni immediatamente successivi. Nel saggio si discutono queste interpretazioni. Pur considerando alcuni elementi di ambiguità nel pensiero di Mazzini, che non a caso, a partire da quel momento, venne riconosciuto come “profeta” anche da culture politiche alternative a quella democratica e repubblicana, si valutano le motivazioni ideali, storiche e politiche, cangianti nelle diverse fasi della guerra, di intellettuali come Gaetano Salvemini e Arcangelo Ghisleri, di esponenti del partito repubblicano e in generale di molti giovani che scoprirono o riscoprirono Mazzini nel corso del conflitto e che continuarono a riferirsi a lui quando si trattò di saldare la scelta del 1914-1915 con la successiva militanza antifascista.
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