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Abstracts della rivista

Abstract del numero 255, giugno 2009
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  • Sofia Serenelli Il Sessantotto e la famiglia. Storia di una comune nella campagna marchigiana 1976-1987 pubblicato sul numero 255 di Italia contemporanea, giugno 2009 Abstract: Questo articolo rende conto di una ricerca svolta con i metodi della storiografia orale su di una comune di Ancona, fondata nel 1977 da un gruppo di sei persone — ex militanti di un gruppo extraparlamentare e femministe —, che si caratterizzava come un tentativo ideologicamente fondato di superare l’istituzione familiare in un ambiente rurale della regione Marche, dove il ruolo della famiglia è sempre stato egemonico. Attraverso l’analisi delle memorie dei partecipanti, comparate con una serie di letture da loro stessi indicate, l’articolo illustra come quelli che furono i fattori di crisi per molte altre comuni degli anni settanta, in questa comune furono pesantemente influenzati dal contesto socioculturale da cui essa ebbe origine. Per prima cosa, l’autrice indaga nello specifico il progetto ideologico della comune. Sulla base delle ‘memorie conflittuali’, si evidenzia come l’assenza di modelli teorici abbia accresciuto la complessità di questo tentativo di costruire un modello alternativo di famiglia d’impronta culturale marxista e declinato nelle forme di reciprocità interna tipiche di un’‘azienda familiare’ derivante dal vecchio sistema mezzadrile. In secondo luogo, l’autrice esamina come il progetto sia andato via via scivolando verso una sorta di ‘rispecchiamento’ della famiglia mezzadrile tipica della tradizione locale, nei termini vuoi di una ‘convergenza organica’ degli individui nel loro ‘lavoro’ collettivo, vuoi di una condivisione ideologica di forme intime del privato. In conclusione, la nozione di ‘fallimento’ (relativo alle comuni degli anni settanta) viene ripensata alla luce di un’idea diversa di storicità, nonché in relazione a quanto ancora oggi rimane dell’esperienza della comune di Ancona nei rapporti interfamiliari e nei comportamenti sociali attuali di coloro che ad essa parteciparono.


  • Davide Baviello Il popolo della libertà. Borghesia imprenditoriale e commercio negli anni del boom economico pubblicato sul numero 255 di Italia contemporanea, giugno 2009 Abstract: Dal dopoguerra a oggi l’Italia ha sempre presentato una proporzione d’imprenditori e lavoratori autonomi molto più alta degli altri paesi economicamente avanzati. Con l’avvento della repubblica, essi pretesero maggiore libertà dallo Stato e, allo stesso tempo, la protezione corporativa assicurata dalle leggi introdotte dal regime fascista, esprimendo una cultura liberista tanto incoerente quanto opportunistica. Tra gli anni cinquanta e sessanta sia gli industriali sia i commercianti si batterono affinché alla partecipazione dell’Italia alla Comunità europea non conseguisse l’ampliamento delle politiche sociali e l’estensione delle regole per garantire la libera concorrenza tra le aziende. Furono così bloccate molte riforme elaborate dai primi governi di centrosinistra, sventati tutti i progetti di liberalizzazione nel terziario, evitati provvedimenti efficaci per la tutela del consumatore e per una maggiore pressione fiscale sulle classi di reddito più elevate che non derivavano dal lavoro dipendente. Criteri liberisti vennero invece seguiti nei confronti di gran parte dei lavoratori dipendenti, attraverso la conferma della libertà di licenziamento nelle piccole aziende. Pure i commercianti — i quali dal dopoguerra si erano costantemente sentiti penalizzati rispetto alle altre categorie imprenditoriali — all’inizio degli anni sessanta migliorarono i loro rapporti con la Dc, che infatti con una serie di provvedimenti, come l’estensione del sistema pubblico di assistenza sanitaria e di previdenza, riuscì ad attenuare i timori del commercio tradizionale negli anni in cui si sentiva minacciato dall’apertura dei primi supermercati, dall’ingresso dei socialisti nel governo e dalla maggiore forza rivendicativa conquistata dal movimento operaio.


  • M. Elisabetta Tonizzi Istruzione tecnico-scientifica e agenti di sviluppo. Il sistema genovese 1861-1914 pubblicato sul numero 255 di Italia contemporanea, giugno 2009 Abstract: Nel 1861 Genova diventa la capitale marittima dell’Italia unita. Con Milano e Torino sarà, di lì a qualche tempo, uno dei poli del “triangolo” maggiormente toccato dall’industrializzazione. La classe dirigente genovese, sia liberal-moderata che proveniente dalla sinistra ‘di governo’, è pienamente consapevole dell’importanza della formazione del capitale umano. Il sistema d’istruzione tecnicoscientifica, considerato prerequisito indispensabile del progresso economico ma anche strumento preventivo dello scontro sociale, viene quindi rapidamente concepito e realizzato. Si articola su vari livelli: elementare (scuole tecniche), medio (istituto tecnico e di marina mercantile) e universitario (scuola superiore navale e di commercio), così da creare competenze adeguate ai diversi segmenti del mercato del lavoro. Tali centri formativi presentano, come dappertutto nel paese, uno spiccato legame con le vocazioni produttive della città e sono quasi totalmente sostenuti dalle risorse finanziarie locali. La prima parte del saggio delinea l’evolversi, nel periodo 1861-1914, degli assetti dell’offerta didattica cittadina in campo tecnico-scientifico. La seconda, con particolare e criticamente motivato riferimento alla componente universitaria, ne misura l’efficienza in termini di formazione di agenti di sviluppo capaci di soddisfare la molteplice domanda di competenze innescata dalla modernizzazione. I flussi di imprenditorialità generati dalla ‘fascia alta’ del dispositivo scolastico genovese rafforzano l’interpretazione storiografica relativa all’esistenza e al dinamico funzionamento di un sistema formativo che, entro i confini del “triangolo industriale”, assorbe e produce sinergicamente professionalità tecniche specializzate.

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