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MOSTRA: La Liberazione in provincia di Pisa attraverso i documenti di archivio
SAN GIULIANO TERMEmartedì 26 novembre 2024, ore 18:45
- Fino a venerdì 20 dicembre 2024, ore 19:45
La mostra documentaria, articolata in 11 pannelli tematici, è visitabile presso la Biblioteca Franco Serantini dal 20 novembre al 20 dicembre 2024 nell'orario di apertura della biblioteca. Il progetto della mostra Estate 1944: la Resistenza in provincia di Pisa attraverso i documenti di archivio si è posto l’obiettivo di raccogliere e digitalizzare alcuni importanti documenti relativi alla Resistenza e alla Liberazione in provincia di Pisa, al fine di costruire una mostra fisica itinerante e virtuale per proporre un racconto accessibile e coinvolgente della Resistenza nella Provincia di Pisa aperto alla cittadinanza. Tra il mese di giugno e il mese di novembre 2023 sono state completate le attività relative alla ricerca, selezione e scansione dei documenti nei fondi documentari dell’Archivio di Stato di Pisa, in particolare alcuni fondi non inventariati, in quanto recentemente versati all’Archivio dai soggetti produttori e conservatori, ovvero il Tribunale e la Questura di Pisa. Si tratta di alcuni fascicoli della Corte d’Assise e della Corte di Assise Speciale (4 faldoni), nonché della Commissione Provinciale di Epurazione (circa 200 fascicoli personali), per quel che riguarda le carte depositate dal Tribunale; di 195 buste dei Sorvegliati del Commissariato di Pubblica Sicurezza, per quel che riguarda la Questura, con oltre 19.500 fascicoli personali schedati. Data la delicatezza e lo stato vergine di tale documentazione si è proceduto in collaborazione con la direzione dell’Archivio di Stato di Pisa a concordare un lavoro particolarmente scrupoloso di schedatura descrittiva, in modo da permettere di avere in tempi relativamente rapidi un’inventariazione a disposizione di studiosi e cittadini. Si è inoltre proceduto alla raccolta e digitalizzazione di ulteriori documenti relativi al fondo archivistico della famiglia Cecchini, che conserva le carte del comandante della formazione partigiana Nevilio Casarosa operante nel Monte Pisano nell’estate del 1944. Inoltre sono stati utilizzati alcuni documenti proveniente dall’archivio privato della Famiglia Giglioli, che illustrano le vicende della guerra nell’area di Cisanello, e della famiglia Bernardini, con documenti inediti riguardanti l’attività di partigiani nell’area di Coltano. Un primo blocco di documenti digitalizzati è visibile nella piattaforma digitale della Biblioteca Franco Serantini. 1. INTRODUZIONE Gli archivi storici racchiudono un patrimonio prezioso in grado di raccontare le vicende del territorio e delle comunità che lo hanno popolato. Questa mostra vuole proporre un racconto della Liberazione della provincia di Pisa attraverso alcuni di questi documenti, provenienti da vari archivi territoriali. Per la provincia di Pisa possiamo identificare 4 fasi: la prima va dallo sfollamento dalla città dopo il bombardamento del 31 agosto alla fine del febbraio 1944, con i bandi di arruolamento della RSI; la seconda vede i primi episodi di insubordinazione al potere repubblichino e il rafforzamento delle prime bande partigiane nella primavera del 1944; la terza la liberazione di gran parte del territorio provinciale nel luglio 1944 e l’arrivo dell’esercito alleato sull’Arno; la quarta dal settembre 1944 con la liberazione completa della provincia alla fine della guerra. 2. I BOMBARDAMENTI Nella strategia sperimentata nel 1937 a Guernica da aerei tedeschi e italiani, i bombardamenti servono per mettere fuori uso gli impianti industriali e le infrastrutture, ma anche come atroce strumento di pressione sulla popolazione. Le incursioni aeree angloamericane, a Pisa e nel resto d’Italia, hanno l’obiettivo di fiaccare il morale della società e spingerla alla reazione contro il fascismo. In un contesto sempre più teso, tra l’arresto di Mussolini del 25 luglio e la firma dell’armistizio resa nota l’8 settembre, avviene il bombardamento di Pisa del 31 agosto 1943, quando circa 1100 ordini per oltre 400 tonnellate di esplosivo rasero al suolo la zona della stazione e di Porta a Mare, con effetti devastanti anche nel resto della città e un numero imprecisato di morti, sicuramente oltre 700. 3. L’AEROPORTO DI METATO Nel Comune di San Giuliano Terme viene stabilita la servitù militare su alcuni terreni agricoli in località Metato, con lo scopo di ospitare un aeroporto militare. L’aeroporto ospita una trentina di aerei da caccia e ha l’obiettivo di rispondere a eventuali incursioni aeree da parte degli angloamericani. Tuttavia, il 31 agosto 1943, giorno del bombardamento della città di Pisa, i piloti non sono avvertiti in tempo e i loro velivoli, inadeguati per fronteggiare la ben più potente aviazione statunitense, prendono il volo con grande ritardo: «nell’affannosa salita alla quota di 6.000 metri, solo alcuni Macchi e D.520 riuscivano ad entrare in contatto balistico con le ultime pattuglie della lunga formazione», riuscendo a colpire un solo aereo nemico. Dimostratasi inutile nel momento più drammatico per la città, l’area militare verrà poi utilizzata dall’esercito angloamericano come campo di prigionia in cui furono reclusi alcuni cittadini statunitensi colpevoli di tradimento. Tra questi, il poeta Ezra Pound, responsabile di aver condotto trasmissioni filofasciste e filonaziste per l’emittente radiofonica della RSI “Radio Roma”. 4. LA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA Il settembre 1943 è un mese decisivo: con l’armistizio tra il capo del governo Piero Badoglio e gli angloamericani, l’esercito nazista mette in atto il piano di occupazione e neutralizzazione dell’esercito, quindi libera Benito Mussolini dalla prigionia. Pochi giorni dopo viene costituita la Repubblica Sociale Italiana (RSI), un “governo fantoccio” nel territorio controllato dai nazisti a supporto dell’occupazione. Nascono le federazioni del Fascio Repubblicano, con l’organizzazione della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR), oltre alla creazione in funzione antipartigiana delle Brigate Nere e di alcune bande autonome. A Pisa vengono chiamati a ricoprire le cariche istituzionali alcuni esponenti del primo squadrismo, autori di efferati delitti negli anni Venti e poi rimasti in ombra, tra cui Alessandro Carosi e Ugo Catarsi. In quest’operazione ha un ruolo fondamentale il ministro degli interni della RSI, il pisano Guido Buffarini Guidi. 5. L’OCCUPAZIONE TEDESCA L’arresto di Mussolini il 25 luglio 1943 non coglie impreparato l’alleato tedesco. Da mesi a Berlino il regime nazista si preoccupava di monitorare la situazione italiana e di preparare dei piani di occupazione della penisola, denominati Alarich e Kostantin. Dal mese di agosto quindi il comando supremo della Wehrmacht sposta in Italia quattro comandi di corpo d’armata e otto divisioni. L’armistizio reso pubblico l’8 settembre vede il territorio italiano già presidiato dalle forze armate tedesche. Viene subito definita la struttura di occupazione della penisola e si procede al disarmo dell’esercito italiano e alla conquista dei punti strategici. Gli episodi di resistenza da parte dell’esercito generano incidenti drammatici, come quello di Stagno del 9 settembre, quando un gruppo del reggimento di artiglieria comandato dal maggiore Gian Paolo Gamerra, ricevuto l’ordine di muoversi su Livorno, incontra un reparto corazzato tedesco, nascosto nella pineta di Tombolo. Gamerra non obbedisce agli ordini dei tedeschi e ne subisce il fuoco, perdendo la vita insieme ad altri otto militari. Il 14 ottobre 1943 si insedia a Lucca la Militärkommandantur 1015, che amministra le province di Lucca, Pistoia, Apuania, Pisa e Livorno, attraverso un sistema di ordini per gli uffici periferici della RSI, ovvero prefetture, questure, amministrazioni ed enti. La vita quotidiana della popolazione ne risulta stravolta: l’imposizione del coprifuoco limita gli spostamenti e le libertà ordinarie, gli ordini di presentarsi per il lavoro coatto spingono molti uomini alla clandestinità, le requisizioni sottraggono risorse, mezzi di locomozione e bestiame alle famiglie, ogni edificio ritenuto utile per l’esercito tedesco viene messo a disposizione dai poteri locali. L’immagine della RSI e di ogni apparato di potere locale come semplice strumento per il dispiegarsi del predominio militare nazista sul territorio è sempre più evidente. 6. SACCHEGGI E SABOTAGGI Tra le pratiche di resistenza della popolazione nel territorio pisano c’è anche quella dei sabotaggi, effettuati in vario modo e con strumenti diversi: dalle modifiche alla cartellonistica per confondere gli occupanti alla disposizione di chiodi sul manto stradale per mettere fuori uso i camion militari, dall’interruzione delle linee ferroviarie con l’esplosione di ordigni, al taglio delle linee telefoniche, dal furto di materiali dai magazzini agli attentati diretti. L’obiettivo è chiaro ed esposto nel volantino partigiano qui riportato: “ostacolare il nemico con ogni mezzo”. I sabotaggi provocano una reazione da parte delle forze di occupazione e dei fascisti, dapprima soltanto annunciata sotto forma di minaccia, poi messa in atto progressivamente. Oltre alla punizione con la morte dei responsabili, i nazifascisti scelgono di allargare le responsabilità sulla popolazione civile, amplificando il concetto di partigiano e colpevolizzando ogni comportamento sospetto, attraverso rastrellamenti e pene estese a tutto il Comune in cui l’azione viene attuata con la scelta, ad esempio, di costringere gli uomini del luogo a fare la guardia giorno e notte alle linee telefoniche per evitare ulteriori manomissioni. 7. LA GUERRA VISTA DA CISANELLO Il 12 aprile 1944 alcuni ufficiali tedeschi si presentarono all’ora di pranzo a casa della famiglia Giglioli, comunicando la requisizione dell’abitazione e l’ordine di sgombero entro il giorno dopo. La casa stava quasi alla fine di via di Cisanello, alla periferia della città, ed era circondata da terreni agricoli e case rustiche, sempre di proprietà dei Giglioli, abitate da famiglie di contadini. Costanza Stocker, moglie di Italo Giglioli, l’aveva acquistata alla fine degli anni Trenta e qui conservava la biblioteca e l’archivio della famiglia, un tesoro di avventure politiche e scientifiche. Beatrice Giglioli, che conosceva bene sia il tedesco che l’inglese, riuscì ad opporsi alla requisizione nazista. La presenza in casa dei tedeschi si intensificò con l’avvicinarsi del fronte. Il 19 luglio 1944 un reparto di SS prese posizione nel giardino e, dopo aver abbattuto il cancello d’ingresso, nascose un carro armato Tigre sotto i grandi alberi della casa. Alle SS fecero seguito dei reparti di retroguardia della Wehrmacht, con pezzi di artiglieria e mortai. I tedeschi che occuparono la zona si resero responsabili il 2 agosto 1944 della strage della Canonica di San Biagio, poco distante da casa Giglioli, dove trovarono la morte 11 persone. 8. LE STRAGI SUL TERRITORIO PISANO Nella provincia di Pisa fra il marzo e il settembre 1944 sono numerosi gli episodi di violenza contro i civili commessi dall’esercito tedesco e dai suoi alleati fascisti. Sulla base dei dati raccolti nell’Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia (a cura di ANPI e INSMLI) risultano 61 casi di stragi, per un totale di 388 vittime accertate. Una delle stragi più efferate compiute nel territorio fu quella della località La Romagna sopra Molina di Quosa. Le vittime, che furono più di 70, vennero rastrellate e uccise per rappresaglia dai nazisti fra il 6 e l’11 agosto 1944. Tra gli episodi di stragi e violenze nazifasciste compiute nella città di Pisa va ricordata la strage di via Sant’Andrea: il primo agosto 1944 un reparto di SS, informato dai fascisti, fa irruzione nella casa del presidente della Comunità ebraica, Giuseppe Pardo Roques, ucciso insieme ad altre 11 persone con bombe a mano e raffiche di mitraglia. Il giorno dopo in via San Biagio a Cisanello una pattuglia di SS entra nelle canonica dove sono nascoste alcune persone. I tedeschi pretendono di avere due ragazze lì rifugiate e, al rifiuto, uccidono tutti i presenti a colpi di mitraglia. Poi in una casa vicina violentano una ragazza davanti agli occhi dei genitori e del fidanzato, trucidandola insieme a tutti gli occupanti (23 vittime in totale). 9. LA RESISTENZA SUL MONTE PISANO Nei dintorni di Pisa l’attività antifascista si sviluppa sin dalla fine del 1943, in particolare nelle zone di sfollamento dove il sovraffollamento rende più difficili i controlli. Alle azioni di sabotaggio si aggiungono la distribuzione di volantini sovversivi e la costruzione di reti di collaborazione resistenziale. Le Sap, squadre di azione patriottica, piccoli nuclei che svolgevano azioni di sabotaggio, sono attive a Pisa e dintorni, coordinate da Olivio Tilgher (Tito). Chi vuole invece entrare nelle formazioni partigiane viene inizialmente diretto verso la Maremma o la Versilia, poi nel Volterrano. Gino Lombardi, Piero Consani e Giancarlo Taddei, nati o residenti a Pisa, sono tra gli animatori della Resistenza in Versilia, morti come partigiani. Da un gruppo di persone raccolte per nascita o per sfollamento nel paese di Asciano (San Giuliano Terme), ha invece origine la formazione “Nevilio Casarosa”. La banda nasce dallo stringersi delle misure di repressione della polizia fascista sui giovani locali sovversivi, i quali sono ora costretti a salire sul monte anche se il Monte Pisano non presenta le caratteristiche ideali per la lotta partigiana. Comandati da Ilio Cecchini, i partigiani della Casarosa, tra cui si segnalano Uliano Martini e Franco Russoli, sono protagonisti di un importante scontro a fuoco contro i tedeschi. Il 24 luglio 1944, sopra Asciano, la formazione impegna i nazisti di Villa Borri in un lungo combattimento, in cui perdono la vita due partigiani, Paolo Barachini e Pirro Capocchi, e una bambina di nove anni, Iolanda Pizzoleo, sfollata con la famiglia. 10. I PARTIGIANI DI COLTANO Il territorio di Coltano è segnato da un complesso rapporto tra le attività umane e l’acqua. La Tenuta di Coltano, racchiusa tra il canale dei Navicelli, San Piero a Grado, il fosso Caligi e la fossa Chiara, di proprietà dei reali d’Italia, viene ceduta nel 1920 all’Opera Nazionale Combattenti per realizzare la bonifica con potenti macchine idrauliche. Il progetto è di assegnare a mezzadria le terre bonificate agli ex combattenti della Prima Guerra Mondiale. Nel 1920 sono presenti 130 persone in 21 famiglie, nel 1928 si contano 750 persone in 100 famiglie, raccolte nei poderi denominati con i luoghi delle battaglie della Grande Guerra. Dalla fine del luglio 1944, la striscia di terra a sud dell’Arno diventa una terra di nessuno: i tedeschi sono asserragliati al nord del fiume, gli alleati cannoneggiano dalle colline e si avvicinano con avamposti all’Arno. Il 21 luglio gli americani arrivano a Coltano, dove alcuni uomini, coordinati da Giuseppe Batazzi, si organizzano in una formazione partigiana per supportare le attività militari di controllo del territorio e organizzare l’alimentazione della popolazione sfollata, raccolta in particolare nelle fornaci di Biscottino. Denominata “Audace”, la squadra partigiana nasce in un territorio già liberato, dove lo scopo non è contrastare fascisti e nazisti dietro le linee, ma supportare l’esercito alleato sulla linea del fronte, in una delicatissima “no man’s land” dove si nascondono sbandati e si rinvengono cadaveri. Si crea così un cordone di collegamento tra i comandi alleati piazzati a Collesalvetti e le strisce di terreno che arrivavano fino a Pisa. 11. LA LIBERAZIONE Il 1º settembre, su richiesta dei comandi alleati, la squadra partigiana di Coltano si reca iN perlustrazione nella parte nord della città, per capire la reale presenza delle forze naziste in un’area che sembra abbandonata. Alle nove di sera riescono ad attraversare il fiume all’altezza del ponte della ferrovia, a Porta a Mare, mentre le batterie statunitensi sparano colpi di copertura. Divisi in due gruppi, gli uomini percorrono i tratti dalla Caserma alle vicinanze dell’Ospedale e dai Macelli Pubblici fino all’ingresso di Piazza del Duomo, senza incontrare forze nemiche. A mezzanotte tornano quindi euforici verso Mezzogiorno, «intonando inni patriottici». Il giorno dopo, la stessa squadra si incontra in Piazza del Duomo con un gruppo partigiano della formazione “Nevilio Casarosa”. Entrambi diffidano della sincerità reciproca, impossibilitati a capirsi dalla distanza delle esperienze e dalla difficoltà delle comunicazioni. In ogni caso la popolazione li acclama come se fossero i veri liberatori della città, simboli concreti della fine di un incubo. Un paio di mesi dopo i sopravvissuti potevano girarsi indietro e iniziare a fare i conti coN quanto era successo: «La guerra ha schiantato la nostra città, è vero. Non c’è strada che noN mostri le sue ferite, non c’è piazza senza piaga. Non abbiamo più ponti, né luce, né acqua e questo da mesi. Quarantacinque giorni di assedio hanno permesso alle artiglierie di frugare nelle più gelose strade della nostra Pisa. I biondi barbari hanno frantumato con la dinamite le case e le difese sul fiume. L’Arno ci ha inondato e ancor oggi sono visibili le nuove rovine. Tutta la città è un triste scenario di case crollate, di interi quartieri rasi al suolo, di ingabbiature annerite, di pareti smozzicate e rose dagli incendi. Il Mezzogiorno non può più comunicare con Tramontana, una delle ultime nostre torri è crollata in Arno, il Camposanto vecchio è stato incendiato, le antiche mura violate dalle esplosioni. Ma Pisa non è morta. Ha solo chiuso gli stanchi occhi per non vedere tanto scempio, per non contare le troppe ferite» («Corriere dell’Arno», 23 novembre 1944).
Tipologia: Eventi e News. Istituti associati. Mostra.Notizia inserita da: Biblioteca “Franco Serantini”-archivio e centro di documentazione di storia sociale e contemporanea